Un uomo, il capo reclinato all'indietro, un bisturi conficcato nel cranio per estrarne una pietra: la pietra della follia.
Mentre allunga il collo per scorgere il medico dietro di sé, gli occhi dello sciagurato roteano nelle orbite, di più, sempre di più, finché rimane soltanto la sclera bianca, e con la bocca spalancata grida: Attenti! State attenti! Dio vi vede!
Accanto a lui, in piedi, c'è un frate con la chierica; ha indosso una tonaca di velluto nero e con la mano sinistra regge una brocca di metallo, mentre la destra si libra accanto alla testa del paziente, quasi lo stesse benedicendo. Alle spalle del frate, una monaca si protende in avanti appoggiando i gomiti su un elegante tavolino scolpito in pietra, e con aria annoiata o forse stanca della vita, come non potesse più sopportare la totale insensatezza dell'esistenza terrena, fissa l'uomo che si sta sottoponendo alla macabra trapanazione. La guancia è appoggiata al palmo della mano, e sulla testa, ricoperta da un lungo velo bianco che le incornicia il viso fosco e le arriva alla vita, tiene in precario equilibrio un grosso libro rilegato in pelle. La monaca sembra del tutto indifferente alla raccapricciante incisione praticata dal chirurgo sul cranio del paziente - ma non è un tulipano l'escrescenza che spunta dalla ferita?
Il malcapitato sottoposto a questa assurda usanza medioevale indossa una casacca con le maniche a sbuffo e una calzamaglia scarlatta. Siede in mezzo a un campo su ciò che sembra uno scranno o un confessionale segato in due, e con le dita stringe uno dei braccioli, mentre il medico - benché sarebbe più appropriato chiamarlo torturatore o aguzzino - addetto alla trapanazione porta alla vita una caraffa di legno, o di terracotta, appesa a una cinghia di cuoio nero, e in testa calza non un copricapo, ma un grosso imbuto di metallo che punta dritto verso il paradiso.
I quattro personaggi si trovano in un minuscolo dipinto, esposto al Museo del Prado di fianco al Giardino delle delizie - il trittico ben più noto dello stesso autore, il maestro olandese Hieronymus Bosch -, che viene pressoché ignorato dalla maggior parte dei visitatori. I tre grossi pannelli raffiguranti scene lisergiche della terra, del paradiso e dell'inferno fanno del Giardino delle delizie un inestimabile tesoro dell'arte medioevale, che come tale sovrasta quasi ogni altra opera non solo nella sala o nel piano in cui è collocato, ma forse nell'intero museo. Delle due opere di Bosch, quella più piccola è si modesta nelle dimensioni - la sua altezza è di soli quarantotto centimetri -, ma non lo è nel tema: conosciuta con due titoli, Cura della follia o Estrazione della pietra della follia, ritrae un'antica superstizione medioevale, ossia l'idea che pazzia e stupidità fossero causate da una piccola pietra che poteva essere impiantata o crescere spontaneamente all'interno del cranio.
La piedra de la locura, Benjamín Labatut, Editorial Anagrama S.A., Barcellona, 2021
“Io credo che siamo soliti guardare al passato per cercare risposte.
Vedo adesso, ad esempio, una gran tendenza per riscattare il sapere indigeno e una profonda saggezza che viene dal Neolitico che ha resistito fino ad ora. Io credo però che la forma che sta assumendo la realtà in questo momento o almeno quando io guardo alla mia esperienza, la vertigine che si sente ad esser vivi oggi, mi viene da pensare che se esiste una via d’uscita, questa è procedendo in avanti e non indietro. Per questo scrivo di Philip K. Dick, lui è una specie di profeta e i profeti vanno ascoltati. Non bisogna considerarli troppo ma qualcosa va ascoltato.
Perché è importante Dick? Perché l’essere umano non può abitare un futuro che non abbia immaginato precedentemente. Stiamo parlando di progettare forme del passato sopra il presente e sopra il futuro ma non ci sta dando slancio. Stiamo attraversando una crisi che sicuramente ha qualcosa in comune col nostro passato, ma ciò che è interessante è la novità incardinata in questa nuova crisi.
Stiamo vivendo cose senza precedenti. C’è un problema che abbiamo, non solo qui in Cile, ma a livello globale, ed è la crisi dell’immaginazione: non siamo capaci in questo momento di vedere oltre, non è possibile immaginare il futuro come accadeva un tempo. Prima lo si faceva con una facilità incredibile, qualsiasi coglione faceva del futurismo, oggi nessuno ha questo coraggio perché il momento presente sta cambiando così rapidamente che siamo presi da una vertigine e quando si è presi dalle vertigini ci viene il mal di testa, è quasi nauseante e si chiudono gli occhi perché il mondo smetta di girare.
La forma che ognuno di noi vive, il fatto che all’improvviso quello che facciamo non ha più senso. La forma che ognuno vive è la risposta, è la risposta personale alla domanda, però è assurdo credere che risolveremo questa crisi con gli strumenti del passato lontano o recente, questa è una tormenta che richiede, come nelle situazioni di crisi profonda, richiede un salto dell’immaginazione.
A me non interessa la follia nel suo stato puro e neanche m’interessa la ragione senza nessun’ombra, a me interessa il delirio della ragione, i progetti dove la nostra irrazionalità, dove la nostra naturalezza prometeica si scontra con il nostro impulso luciferino, con una cattiveria atroce. La follia pura è terribile e non ispira niente, però il delirio è un’altra cosa, è una sospensione, è un momento che si percepisce nell’aria e da lì si possono riscattare molte cose.
Se fossimo solo caotici, pazzi e violenti questo non sarebbe stato interessante. La cosa difficile da accettare è che anche l’uomo più malvagio, che conosce la depravazione, l’oscurità totale, quello che quasi esce fuori dalla scala dell’umanità, può amare i propri animali come fossero suoi figli. La pandemia è solo un segnale in più della difficoltà di accettare questa doppia natura che tutti abbiamo.
In qualche modo il delirio della donna che mi ha perseguitato, di cui parlo nel mio libro, ci dice qualcosa di un delirio che stiamo vivendo a grande scala, dove le persone sono costrette in una visione del mondo che si sta distaccando sempre di più dalla realtà. Sto parlando della sua follia per parlare di una follia che sta diventando molto più comune, dove la gente vive presa dal suo delirio, dove non importano le evidenze che il mondo gli presenta ma si continua ad essere attaccati alla propria follia.
Lei nelle sue pagine ha scritto una frase che fu la ragione per la quale ho deciso di scrivere di lei.
Lei dice che ha iniziato a prestare attenzione a similitudini inusuali e utilizzarle per creare ipotesi su come si propagano le idee attraverso le persone.
Siamo in un momento in cui c’è un essere biologico che si sta propagando attraverso le persone e senza dubbio abbiamo visto come molte idee deliranti stanno oggi viaggiando da una mente all’altra a un ritmo a cui non eravamo abituati e per il quale non abbiamo nessuna difesa. Inoltre, mi ha interessato molto il fatto che lei sia una persona di scienza, lei era una fisica.
Perché ovviamente quello che mi interessa è quando i metodi della scienza sono usati per sostenere il delirio, per puntellare una visione non razionale delle cose. Perché questa convivenza tra ragione e irrazionalità, tra la credenza e l’evidenza è una cosa che non solo lei ma molti di noi stanno iniziando a subire.”
Intervista radiofonica a Benjamin Labatut, 2022