Da Non è terrestre (1969) di Peter Kolosimo:
Enigmi siberiani
Chi fulminava bisonti centinaia di migliaia d'anni prima che i nostri cavernicoli annaspassero ringhiando alla ricerca d'un sasso da trasformare in arma?
Dopo quanto abbiamo esposto, ci sembra il caso di domandarcelo seriamente, osservando il teschio d'un bisonte preistorico esposto al Museo di paleontologia di Mosca.
Il fossile venne rinvenuto ad ovest del fiume Lena, nella Repubblica socialista autonoma di Jakuzia, ed un particolare lo impose subito all'attenzione degli scienziati: un foro circolare sulla fronte, come nessuna punta di lancia avrebbe potuto produrre; ai nostri occhi quella ferita può esser stata causata solo dal proiettile d'un'arma da fuoco. Ed è una ferita sicuramente vecchia come il bisonte: il processo di ricalcificazione in atto ai suoi orli esclude che qualcuno abbia ficcato una pallottola nel cranio dell'animale in tempi più o meno recenti, e conferma che il bestione sopravvisse alla brutta avventura.
Queste sono le opinioni del direttore del museo moscovita, professor Konstantin Flerov.
Se gli si chiede chi possa esser andato a caccia di bisonti con una carabina nella Siberia preistorica, Flerov si stringe nelle spalle e sorride. Pensa ai suoi colleghi che, meno prudenti di lui, non esitano ad affermare: «Una sola ipotesi è possibile: quella legata alla discesa, da epoca remota ed a più riprese, d'esploratori spaziali sulla Terra». È un'ipotesi che, in questi luoghi, non manca d'esercitare una profonda suggestione.
Siamo fra i Jakuti (o Sahalar), quel singolare popolo giunto quassù in tempi lontani dalla Turchia, dopo aver sostato ai piedi degli Aitai. «Dormite», cantano i Jakuti ai loro morti, di cui depongono le bare tra i rami degli alberi per favorirne il prelevamento da parte degli esseri celesti, «dormite fino a quando gli spiriti non scenderanno dalle stelle sui loro carri splendenti».
Quali spiriti? Quelli di cui parlano gli sciamani, i pretistregoni mongoli e siberiani, descrivendoci misteriosi esseri che giungono a chiamare i defunti su «conchiglie volanti», gettando la loro «pelle scura» quando vogliono rivelare le loro vere sembianze, simili alle nostre?
Non occorrono certo grandi sforzi di fantasia per vedere nelle «conchiglie» veicoli cosmici (non è per lo meno curioso che noi abbiamo coniato i termini Tetter, Sancérs, Soucoupes, dischi, piatti volanti?) e nella «pelle smontabile» uno scafandro spaziale. Spostiamoci più ad ovest, ed incontreremo i baba, quegli strani monumenti funerali che costellano i kurganì, gli antichissimi cimiteri della Siberia, e costituiscono un insolubile rompicapo per gli archeologi.
Osserviamone uno da vicino: è ricavato da un masso di pietra scolpito nella parte superiore in forma umana. Un enigmatico volto mongolo sorride, gli occhi socchiusi, agli oggetti che le due mani reggono: un pugnale ed una sfera. «Il pugnale che trafigge le tenebre, il sole della vita», potremmo dire, attingendo ancora alla saggezza sciamana.
Sogniamo pure astronavi lanciate a trafiggere le tenebre cosmiche, verso un globo lontano rimasto nel ricordo d'un popolo scomparso come simbolo della vita oltre gli abissi bui: scendendo al sud, arriveremo nella taiga di Tungus, dove il 30 giugno 1908 s'abbattè quella meteorite che secondo Kasanzev non era una meteorite, ma un incrociatore interplanetario a propulsione nucleare, sfuggito al controllo dei suoi piloti e deflagrato a pochi chilometri da terra.
«La Siberia», afferma lo studioso e scrittore sovietico, «e molte altre regioni del nostro globo, sono forse immensi musei che racchiudono le testimonianze di incontri cosmici». E di scontri, aggiungeremmo, riandando non solo al bisonte della Jakuzia, ma anche ad uno sfortunato neandertaliano il cui cranio è venuto alla luce nei pressi di Broken Hill, in Rhodesia. Il teschio dell'uomoscimmia sembra addirittura presentare il foro d'entrata d'un proiettile e, sul lato opposto, il foro d'uscita.
Che si tratti delle famose trapanazioni craniche preistoriche è impossibile: nel caso siberiano, nessuno si sarebbe certo preso la briga d'operare un bisonte (senza anestesia, per giunta), ed in quello africano la duplice ferita basta già a demolire la supposizione; si potrebbe aggiungere, poi, che i cosiddetti «uomini di Neandertal» non hanno mai effettuato interventi chirurgici del genere: gli unici buchi — piuttosto grossi — che questi antropomorfi cannibali praticavano nelle teste altrui, erano destinati all'estrazione del cervello a scopo alimentare.
Ad alcuni scienziati sovietici si attribuisce anche un'altra sensazionale congettura: quella secondo cui certe ossa appartenute ai giganteschi sauri della preistoria potrebbero esser state spezzate da proiettili esplosivi. L'idea è nata palesemente dal fatto che qualche reperto è contraddistinto da fratture le quali sembrano non ammettere altre spiegazioni, sia per il modo in cui si presentano, sia per la posizione degli scheletri e la natura del terreno circostante.
In effetti, se si ammette che la Terra abbia ricevuto visite dallo spazio sin dalle ere più lontane, non ci si può attendere che gli astronauti abbiano rinunciato a far uso delle loro anni contro quelle montagne di carne e di furia cieca.